Mobilità Elettrica Urbana
1. UN CENNO STORICO
Oggi le auto elettriche sono meno dell’1% del mercato. Nulla rispetto agli investimenti che l’industria sta sostenendo in un settore in profonda crisi. Ma è sorprendente notare che in un passato lontano, nel 1900, il 34% della auto circolanti tra New York, Boston e Chicago erano elettriche!
Cosa è successo allora? Un’industria potente ha “soppresso” la tecnologia elettrica in favore di un’altra (a benzina in questo caso), spostando massicci investimenti in quella direzione e sviluppando i motori a combustione.
Ai primi del ’900 quel prodotto era più semplice da guidare, non emettevano fumi inquinanti e richiedevano molte meno manutenzione, percorrendo per lo più piccole distanze (ideale per le ridotte).
Ma le sorprese non finiscono. La compagnia elettrica (The electric vehicle company) dell’epoca era anche il più grosso produttore e possessore di auto degli Stati Uniti. Infatti già allora i veicoli erano per lo più forniti sotto forma di noleggio, a breve (poche ore) o per settimane o mesi. Quindi oltre 100 anni fa il mercato aveva già sviluppato forme di car sharing elettrico. E c’è voluto oltre un secolo per accorgersi che, forse, era un sistema intelligente per la mobilità nelle città. Purtroppo, le lobby industriali di allora (anche le regole non scritte del mercato esistevano già) in pochi anni hanno portato la compagnia alla bancarotta ed ecco comparse le case automobilistiche che in breve tempo hanno sviluppato prodotti più economici e performanti. E tutti ci siamo semplicemente abituati a questo concetto di automobile.
C’è voluto oltre un secolo perché la tecnologia dei sistemi a trazione elettrica trovasse applicazioni industriali, investimenti e mercato. Sperimentazioni condotte in Francia negli anni ’60, poi ancora nei decenni successivi fino ai primi progetti di FIAT con le PANDA Elettriche nei primi anni ’90 e il famoso prodotto General Motors EV1 non hanno portato risultati evidenti, mentre solo nell’ultimo decennio si è assistito a un cambio repentino di rotta a partire dagli investimenti di Toyota nell’ibrido.
Oggi possiamo trovare una vasta scelta di tecnologie “green” basate sull’uso di batterie per la trazione delle automobili, riassumibili in:
- tecnologia full electric
- tecnologia ibrida, a sua volta suddivisa in ibrida, ibrida plug-in e micro ibrido.
- tecnologia elettrica con range extender
- altre tecnologia sperimentali: fuel cell, aria compressa, retrofit.
2. LE TECNOLOGIE PER L'AUTO PULITA
Ogni tecnologia di quelle succitate presenta pregi e difetti e l’industria dell’automotive ha scelto strategie differenti in base alle potenzialità di mercato, ai propri obiettivi o al target di clienti.
La tecnologia full electric
È quella di più immediata lettura. L’auto ha un solo motore alimentato a batterie – generalmente al litio – e viene ricaricata tramite l’utilizzo di energia elettrica, domestica o appositamente distribuita attraverso una rete di colonnine di ricariche, pubbliche, aziendali o private. L’elevato costo delle batterie e la ridotta autonomia sono i due limiti più importanti per la diffusione di questa tecnologia, a cui si aggiunge la scarsità di colonnine di ricarica.
I prezzi iniziali delle vetture elettriche superavano i 35mila € con autonomie di poco superiori ai 100 km, un divario quasi insormontabile anche per i clienti più appassionati. In pochi anni gli investimenti di produttori di batterie e di auto hanno incrementato l’efficienza e le prestazioni anche se i costi restano ancora abbastanza alti a causa dei bassi volumi di mercato.
L’alleanza franco-nipponica Renault-Nissan è stata tra i principali investitori in questo settore nonché i primi a raggiungere il mercato con un intera gamma di veicoli elettrici (i francesi) mentre Nissan ha puntato tutto sulla Leaf, segmento di vettura media, con 4 posti comodi.
Anche la giapponese Mitsubishi (nella foto) è stata antesignana con la I-MIEV, poi prodotta anche a marchio Citroen e Peugeot.
L’autonomia delle auto elettriche è un problema risolvibile, ma necessita di grossi pacchi batterie che di conseguenza accrescono il peso della vettura e riducono le prestazioni. In America la Tesla Motors è una società nata attorno a questa strategia, ma ha dimostrato di garantire fino a quasi 500 km a zero emissioni, con prestazioni da vera sportiva. Di contro con prezzi da premium brand sopra i 70mila €.
Mediamente le vetture full electric sono percepite per tragitti prevalentemente urbani e la tecnologia consentirà un equilibrio di costi-rendimenti utili a garantire attorno ai 200 km di autonomia media. Nell’uso pratico raramente potranno manifestarsi esigenze di maggiori percorrenze e l’ansia da autonomia sarà prevalentemente un fattore culturale e psicologico.
La tecnologia ibrida
È quella che più di altre si avvicina alle vetture tradizionali. Toyota ha introdotto nel mercato la Prius oltre 10 anni fa, con una strategia lungimirante, che oggi garantisce un forte vantaggio competitivo e ha creato un vero e proprio brand tecnologico attorno all’ibrido. Le funzionalità della tecnologia ibrida sono di due tipi:
- ridurre i consumi e quindi le emissioni complessive della vettura attraverso l’ausilio di batterie
- offrire percorrenze minime anche solo in elettrico.
Le vettura ibride sono dotate di batterie che alimentano un motore elettrico che funziona integrato con il motore endotermico, fornendo energia e propulsione in particolare alle basse velocità, nelle accelerazioni e nelle partenze. Sono le situazioni dove si riscontrano i maggiori consumi istantanei, che vengono radicalmente ridotti grazie all’ausilio di energie integrative.
Le batterie vengono ricaricate con sistemi di recupero energetici in frenata, ma soprattutto dal motore endotermico che alimenta la ricarica. Le vetture ibride di questa tipologia non hanno alcun problema di autonomia innanzitutto perché funzionano con il motore endotermico e secondariamente non hanno bisogno di ricarica “via cavo”, essendo il motore la fonte specifica di energia.
Molte vetture “premium” di alta gamma e con cilindrate elevate hanno visto la commercializzazione di modelli e versioni “ibride”, quasi fosse un elemento qualificante di marketing. Marchi come Lexus, Mercedes, Porsche, Volkswagen hanno introdotto modelli top di gamma in versione ibrida, con risultati importanti per quanto attiene i consumi, ma spesso senza raggiungere un vero posizionamento “ecologico”. In questo caso il motore elettrico ha solo funzioni di accompagnamento e miglioramento dell’efficienza del motore endotermico.
Diverse evoluzioni di alcuni modelli recenti, come la Prius plug in hanno esteso le funzionalità di utilizzo elettrico, dotando le vetture di una presa per la ricarica delle batterie. Alcune case automobilistiche hanno diversificato le scelte strategiche dell’ibrido. Volvo è stata tra le prime case a produrre e lanciare nei mercati internazionali una propria vettura ibrida plug in abbinata a un motore diesel di oltre 200 cv. È possibile percorrere fino a 50 km solo in elettrico, un’autonomia sufficiente per molti tragitti urbani quotidiani, mentre andando con motore convenzionale si contengono emissioni e consumi rispetto alle versioni tradizionali.
La V60 plugin si ricarica anche presso le colonnine pubbliche o di casa a corrente alternata e quando serve, in movimento si utilizza l’energia del motore endotermico.
Il gruppo PSA (Peugeot Citroen) si è differenziato ancor di più introducendo una tecnologia ibrida a trazione integrale. Senza soluzioni tecniche da fuoristrada, alcuni modelli di punta del gruppo sono dotate di batterie direttamente adiacenti alle ruote posteriori con funzioni di motore generatore elettrico. In pratica la soluzione adottata è di una trazione elettrica e integrale contemporaneamente.
Un’ulteriore declinazione del tema ibrido si ha con il “microibrido” cioè quella tecnologia ancora più semplice basata sui sistemi Start&Stop. In pratica un alternatore reversibile immagazzina un po’ di energia nella fase di rallentamento e la restituisce al motore dopo la riaccensione nella fase di accensione. Questa tecnologia non è assimilabile alla mobilità elettrica perché, anche se molta diffusa, non consente, di fatto, di muoversi con l’energia delle batterie. Nonostante ciò, molte case automobilistiche hanno basato strategie di marketing di alcuni prodotti attorno a questi elementi.
Tecnologia elettrica con range extender
Alcuni produttori hanno optato per la tecnologia “range extender” basata su un motore elettrico, con la presenza di un motore endotermico con finalità di ricarica. Praticamente la vettura si muove sempre in “elettrico”, ma non ha il problema della ricarica ridotta perché la batteria viene alimentata e mantenuta carica dal motore endotermico. Quest’ultimo ha finalità di “generatore”, pertanto non richiede prestazioni stradali e i consumi sono ridotti al minimo. L’autonomia di questi motori raggiunge i 500 km eliminando a monte il problema delle ansie da ricarica.
La figura più rappresentativa di questa soluzione è “Bob Lutz” top manager globale di GM nonché “padre” della Chevrolet Volt (e Opel Ampera in alcuni mercati), berlina media completamente elettrica, ma dotata appunto di un motore range extender.
Prestazioni e coppia da sportiva, la berlina raccoglie successi commerciali e di pubblico anche grazie alla spinta promozionale delle grandi flotte americane. I problemi sono legati soprattutto ad un prezzo particolarmente elevato, certamente giustificato dal concentrato di innovazione, ma ancora troppo alto per il mercato di massa. Se GM è stata la prima industria a credere in questa soluzione, negli ultimi anni altri marchi hanno introdotto questa soluzione. BMW, entrata da pochi mesi nel mercato dell’elettrico offre un piccolo motore a combustione range extender, come optional per la citytcar I3. L’autonomia originaria è di circa 200 km (in modalità “eco”) che salgono a 300 tramite l’utilizzo del piccolo bicilindrico a motore. In questo modo lascia ai clienti la piena libertà di scelta se affidarsi all’autonomia elettrica o se garantirsi lunghe percorrenze senza soste.
Sarà interessante notare le risposte del mercato per capire le priorità e le aspettative reali dei consumatori. Il concetto di range extender è stato industrializzato anche come “accessorio” after market. Una società francese ha realizzato un vero e proprio “carrello” dotato di un piccolo motore endotermico da 600 cc con 35 litri di serbatoio che funge da generatore di energia elettrica con 20 kW di potenza.
Il carrello è oggi in fase di test per la compatibilità con i vari modelli di vetture elettriche e non è scontata la sua commercializzazione prevista nel 2015. Infatti, il generatore dovrebbe entrare in funzione solo in caso di necessità una volta raggiunto un livello minimo di carica della batteria, dialogando con i sistemi gestionali dei diversi modelli di auto. Rappresenta certamente una soluzione pratica in un mercato che è in fase iniziale e dove le colonnine di ricarica non sono ancora diffuse capillarmente, mentre l’azienda conta di proporlo come accessorio per auto elettriche.
Altre tecnologia sperimentali: fuel cell, aria compressa, retrofit
Se le prime tecnologie illustrate sono quelle più diffuse dove si sono concentrati i maggiori investimenti delle industrie automobilistiche e di batterie, altre soluzioni sono oggetto di ricerca e applicazioni. Forse oggi sono meno pronte per il mercato e i costi di sviluppo e implementazione troppo elevati. Pertanto anche di recente sono stati presentati piccoli progetti pilota o prototipi in fase di test drive, utili per immaginare gli scenari a lungo termine e le convergenze con gli investimenti già attuati per la mobilità elettrica.
La tecnologia fuel cell
I veicoli a fuel cell sono mossi dall’energia elettrica prodotta dalla reazione chimica che si innesca tra ossigeno e idrogeno. Questo reazione produce un unico scarto, del vapore acqueo; risulta quindi una delle migliori applicazioni ad impatto ambientale pari a zero. I problemi principali in questo caso sono legati al sistema di approvvigionamento che richiede alte pressioni per rifornire le bombole di idrogeno. Oltre quindi a un ‘sentiment’ diffuso di sicurezza tutto da confermare, la rete di distribuzione è certamente l’anello debole della nuova filiera. Le case automobilistiche sembrano crederci, come tecnologia emergente e prevedono i primi veicoli in commercio dopo il 2015. Non mancano casi pratici e realtà concrete.
In Danimarca, pochi mesi fa sono stati consegnati al comune di Copenaghen i primi 15 modelli di Hyunday ix35 Fuel Cell ad idrogeno da inserire nella flotta comunale. Contestualmente è stata inaugurata la prima stazione di rifornimento di idrogeno del Paese. La vettura è assolutamente “normale”, 135 cv di potenza, 600 km di autonomia 160 km di velocità massima e una capacità di serbatoio di 5,66 kg di idrogeno. E se la Danimarca ha la sua prima stazione, il Giappone pensa a una rete di distribuzione grazie ad un accordo tra i principali gestori di carburante (13 compagnie) e il Governo (che finanzierà l’iniziativa al 50%) per arrivare a 100 stazioni entro i prossimi 2 anni.
Stesso obiettivo anche oltreoceano, per il Governo californiano che ha stanziato 2 miliardi di dollari per la rete di distribuzione, che oggi conta 9 stazioni. In tempo per la commercializzazione di alcuni modelli delle più importanti industrie automobilistiche. Toyota ha già presentato la FCV-R berlina media dal design avveniristico che sarà sul mercato nel 2015, con un propulsore a celle combustibile e 700 km di autonomia.
Honda e GM hanno siglato un’alleanza per realizzare degli standard tecnologici che consentano di ridurre i costi di produzione delle celle a combustibile e dei sistemi di stoccaggio così da riuscire ad aggredire il mercato con sistemi competitivi.
Tecnologia ad aria compressa
L’ultima frontiera tecnologica consiste nell’utilizzo dell’aria compressa. In questo caso possiamo citare il progetto dell’imprenditorie Guy Negre, chiamato AIRPOD, molte volte annunciato, anche in virtù di accordi commerciali con case automobilistiche indiane (la TATA), modelli di business innovativi con produzione delocalizzata e che ad oggi vedono in Sardegna una cordata di imprese pronte a produrre in scala la vettura, ma di fatto, commercializzazioni reali non se ne sono ancora viste.
Pochi mesi fa invece il gruppo PSA in collaborazione con Bosch ha lanciato la tecnologia “Hybrid Air” testata sui modelli di citycar e crossover 208 e 2008. Lo schema è similare alle ibride plugin che abbiamo precedentemente descritto, con una pompa idraulica e un serbatoio di aria compressa alloggiato sotto al pianale con un ruolo di ausilio per muovere le ruote anteriori da solo (al massimo per un paio di chilometri nel traffico) oppure a sostegno del tre cilindri a benzina. Questa tecnologia consente di base la riduzione dei consumi arrivando fino a oltre 35 km al litro.
Retrofit
Infine, l’ultima tecnologia adottata per sviluppare la mobilità elettrica consiste nella “conversione”, meglio definita come retrofit. Si prende una vettura convenzionale e si trasforma il motore in elettrico (o ibrido). La soluzione è applicabile a vetture con alcuni anni di anzianità e può essere più o meno invasiva. Diverse le iniziative e start up nate attorno a questa tecnologia.
Un gruppo di tecnici appassionati, attraverso la fondazione EV-Now ha progettato molteplici kit di trasformazione adattati per ogni singolo modello. Iniziativa simile è stata introdotta anche da un pool di artigiani veneti che è in attesa del brevetto. In Italia non è ancora consentito omologare i kit di veicoli convertiti e questo complica ulteriormente lo sviluppo di questa tecnologia.
Da un punto di vista di prestazioni i kit di conversione garantiscono 100 km di autonomia per 3000 cicli di ricarica. L’applicazione del retrofit potrebbe essere molto utile per i sistemi di trasporto pubblico, come i vecchi autobus. In questi casi il business model sarebbe economicamente più efficiente, perché consentirebbe di risparmiare fino al 50% dei costi di un autobus nuovo.
Il Politecnico di Milano ha infine creato uno spin off “Eco Srl” destinato a produrre kit per trasformare le auto tradizionali in ibride, così da ridurre i consumi e consentire piccole percorrenze solo in elettrico. Il ventaglio delle scelte e il dinamismo del settore sono segnali positivi, sarà il mercato a definire quante di queste iniziative riusciranno a imporsi e crescere.
3. IL MERCATO: I PRODOTTI, LE "NOVITÀ" DEL 2013-2014 E IL FUTURO PROSSIMO
Il mercato dell’auto elettrica è una nicchia minima del settore automotive, ma è l’unica che presenta un trend di crescita rilevante.
A parte paesi simbolo come la Norvegia dove alcuni modelli di auto elettriche (Leaf e anche Tesla) sono tra le auto più vendute in assoluto negli ultimi mesi (la Leaf da sola ha il 6% di tutto il mercato di ottobre), in generale si notano importanti risultati commerciali in Paesi dove i Governi hanno investito in politiche di sviluppo e sono diffuse infrastrutture di ricarica presso assi autostradali, aree urbane, aziendali e commerciali. In America la crescita dell’ultimo anno è del +361% ... ovviamente in proporzione ai numeri minimi del 2012. Nel solo mese di settembre la somma di auto elettriche e ibride plug-in vendute negli Stati Uniti conta 8.127 unità, di cui 3.650 “solo elettriche” e 4.477 gli ibridi plug-in.
Questi numeri costituiscono in ogni caso un balzo avanti del 40% rispetto alle cifre di settembre 2012. Per avere qualche dato di singole marche, il gruppo Renault nei 10 mesi del 2013 ha venduto complessivamente 8.500 veicoli, suddivisi tra Zoe e Kangoo. Anche Nissan globalmente è un successo, tra poco raggiungerà il traguardo delle prime 100.000 vetture vendute complessivamente, mentre in America si attesta su oltre 2000 immatricolazioni mensili.
Il mercato è destinato a crescere significativamente perché nei prossimi mesi nuovi importanti modelli arriveranno in commercio. Fino ad oggi l’offerta di mobilità completamente elettrica si basava su pochissime case automobilistiche: Renault che aveva un’intera gamma di prodotti, il gruppo PSA in collaborazione con Mitsubishi e Daimler con la Smart ED.
In realtà la disponibilità dei mezzi era più virtuale che reale perché i numeri erano così limitati da concentrare l’effettiva commercializzazione in quei paesi o in quelle città dove effettivamente c’era interesse. La maggior parte delle vendite avveniva o alla rete commerciale o a istituzioni o enti pubblici che avviavano progetti dimostrativi, in alcuni casi ad aziende che sperimentavano.
Accanto alle vetture tradizionali, è diffuso il mercato dei quadricicli, leggeri e pesanti. Se Twizy ha impresso forte accelerazione alle vendite (oltre 9.000 unità commercializzate nel 2012 in Europa, 1.545 in Italia, in calo quest’anno), altri 2 modelli hanno avuto penetrazione nel mercato.
La Tazzari Zero società emiliana, attraverso una strategia di vendita di network marketing ha affidato in Italia alla NWG (società operante nel settore delle rinnovabili) la commercializzazione tramite propria rete vendita nel territorio, mentre con una serie di partnership commerciali e strategiche ha venduto molti veicoli nei paesi del nord Europa. Infine anche la Estrima srl di Pordenone si è ritagliata una nicchia di acquirenti con la Birò, uno scooter a 4 ruote dalle dimensioni super compatte (1,74 x 1,03 m) velocità da ciclomotore (45 km/h), che da poco ha introdotto anche la possibilità di smontare la batteria e ricaricarla comodamente da casa.
Molto diversa la situazione se introduciamo il mercato delle vetture ibride. In questo caso si entra a pieno titolo nel mercato dell’auto.
Infatti le principali case automobilistiche hanno già oggi una gamma sempre più ampia di vetture ibride. Leader indiscussa è la Toyota, che forte della sua ultradecennale esperienza ha costruito attorno a Prius un marchio, sinonimo di ibrido e di nuove tecnologie. Diverse le versioni disponibili, monovolume e berlina, di recente la tecnologia a batterie si è ampliata su altri modelli di gamma, come la Auris (berlina compatta, anche in versione station wagon) e sulla Yaris citycar moderna e premium seller del marchio. L’ampiezza di gamma rende Toyota uno dei principali referenti di mercato per questa tecnologia, anche se solo nel caso della Prius Plug-In troviamo la possibilità di ricarica con la rete di colonnine.
Strategia commerciale simile è quella di Honda che oltre ad avere la Insight (berlina elettrica della stessa categoria di Prius) ha già in commercio anche la Picco Jazz (citycar), la compatta Civic e la sportiva CR-Z. Giapponesi a parte le uniche presenze reali sul mercato restano le già citate Chevrolet Volt (Opel Ampera) e il gruppo PSA con vari modelli a trazione integrale (Peugeot 3008, 508, 508Rxh).
Molto diversa la prospettiva dei prossimi mesi quando il mercato dell’elettrico sta per essere positivamente stravolto da una vasta gamma di prodotti posizionati su molte categorie commerciali.
Cominciamo dal “top” della produzione internazionale.
Tesla Motors, società californiana che produce veicoli 100% elettrici ha iniziato le consegne della Model S anche in Italia. Si parla di una berlina da oltre 100.000 € di costo, ma che è tra le vetture più vendute nel mercato elettrico. Lussuosa e confortevole con prestazioni da supersportiva, è l’unica auto elettrica che raggiunge e supera i 500 km di autonomia.
Già “sold out” la produzione complessiva fino alla primavera del 2014 … praticamente dal quartier generale di Palo Alto devono decidere solo in quali mercati effettuare le consegne.
L’azienda ha inoltre investito diversi milioni di dollari nell’installazione di punti di ricarica “fast charger” nei principali Stati Americani, in modo da garantire gratuitamente ai propri clienti lunghi itinerari di percorrenza con l’obiettivo del coast to coast a zero emissioni. Da qualche mese anche in Nord Europa sono stati installati i primi punti di ricarica, per ‘elettrificare’ il corridoio Oslo-Roma, mentre per usufruire del network di fastcharger già installati con il sistema Chademo, le vetture americane sono state dotate di un kit adattatore che amplia ulteriormente la possibilità di ricarica.
Nel prossimo anno Tesla introdurrà sul mercato la ModelX un Suv interamente elettrico, mentre allo studio anche un modello di categoria “media” la Model E, che rappresenterà la svolta in termini di numeri e potrà confermare il ruolo di leadership.
Se Tesla rappresenta la ‘cenerentola’ del settore, anche marchi storici sono in procinto di entrare con molta concretezza nel mercato della tecnologia e zero emissioni. In primis l’industria tedesca, forte di un commitment politico espresso dal Governo con obiettivi ambiziosi di diffusione dell’auto elettrica (1 milione di auto elettriche entro il 2020) vede i propri simboli ai nastri di partenza.
BMW ha appena lanciato una gamma di veicoli con brand autonomo (BMW I). La I3 arriva negli autosaloni in queste settimane. Una citycar che promette di rivoluzionare l’esperienza di guida, con tutte le caratteristiche tipiche delle BMW, ma in versione a zero emissioni. Linea avveniristica, prestazioni elevate e un’autonomia che può raggiungere i 200 km. Per gli ansiosi da autonomia, a listino per 4600 € un motore secondario, (650 cc) da utilizzare come range extender per ricaricare la batteria. Sarà interessante vedere cosa dirà il mercato e se il “motore” sarà un accessorio richiesto dai clienti. Ma dopo la I3 è già pronta la I8 supersportiva ibrida che arriverà il prossimo anno, mentre già si pensa alla I5 berlina lussuosa che potrà ampliare il parco acquirenti.
Il 2014 sarà un anno importante anche per Volkswagen che ha già presentato la e-Golf e la e-UP. La prima avrà autonomia di 150 km circa, 140 km/h di velocità massima autolimitata, utilizzerà i sistemi di ricarica fast charge Combo fino a 40 kW (ricarica in meno di 30 minuti), mentre tutti i sistemi ausiliari (riscaldamento, luci, ecc.) sono realizzati all’insegna del massimo risparmio energetico.
Stessa filosofia, ma prestazioni più cittadine per la E-Up che avrà una potenza di 82 cv e 210 Nm di coppia. Di prossima uscita anche la piccola Chevrolet Spark (posticipato il lancio europeo a causa del mercato ancora limitato, ma già disponibile in America), la Ford Focus Electric, già commercializzata in America e poche settimane fa è stata presentata anche la prima coreana elettrica “di massa”, la KIA Soul con 193 km di autonomia e una dispositivo che alle basse velocità rende la vettura udibile ai pedoni e ciclisti. Non la vedremo in Italia a breve, nel 2014 sarà negli Usa e forse Gran Bretagna.
Infine in questi giorni a Tokyo la Nissan presenta ufficialmente E-nv 200, veicolo commerciale derivato dalla versione endotermica. Il mezzo è in uso sperimentale da diversi anni, da parte delle più importanti multinazionali (Dhl, FedEX, per citarne alcune); è formalmente il veicolo prescelto per i nuovi taxi di New York e una prima flotta pubblica farà la sua comparsa a Barcellona, vicino alla fabbrica di produzione del mezzo. In Italia lo vedremo nella seconda metà del 2014.
Un ultimo accenno meritano anche le due ruote elettriche. Non tanto gli scooter o le bici elettriche che rappresentano una categoria diversa anch’essa in rapida espansione, ma proprio le moto sportive o da cross, performanti e pronte per il mercato. Se le aziende già attive nel mercato sono americane come la Brammo o la Zero Motorcycles (entrambe con qualche appoggio anche in Europa), due casi di tecnologia italiana sono appena stati presentati ad EIcma.
Da un lato la Tacita, una moto da cross, elettrica, adatta per avventure off road e sul mercato dalla primavera del 2014, dall’altra Energica Ego Superbike, una supersportiva dalle prestazioni eccezionali (100 kW di potenza, 150 km di autonomia media e una velocità autolimitata a 240 km/h), ha affascinato i giornalisti di tutto il mondo venuti a Volterra per un press test esclusivo in anteprima e dal 2015 si confronterà con il mercato USA ed europeo. Due sfide del made in Italy, su target molto diversi ma che in comune hanno la passione di chi le produce e ha investito nei progetti.
4. L’AUTO ELETTRICA OGGI: QUALCHE ISOLA FELICE E TANTI PROGETTI
A livello globale l’auto elettrica è una tecnologia in crescita costante, ma se analizziamo i diversi mercati troviamo differenze abissali, che condizionano vendite, investimenti e cambiamento culturale. In America troviamo certamente i maggiori investimenti, pubblici e privati.
A partire dai grandi finanziamenti forniti dal Department of Energy a tante aziende del settore, di cui molte finite nel peggiore dei modi. Ricordiamo Better Place che ha concentrato la strategia sulla tecnologia della sostituzione della batteria in apposite stazioni; Fisker che produceva una lussuosa berlina ibrida, recentemente venduta a un magnate cinese; Ecotality che ha progettato e installato colonnine di ricarica, quotata in Borsa, ma fallita in poche settimane a causa della lentezza del mercato; CODA, azienda che produceva una berlina elettrica, ma che si è fermata dopo avere venduto qualche centinaia di veicoli in totale.
Nonostante qualche insuccesso le spinte governative, soprattutto della California, hanno portato le auto elettriche ad essere una realtà. Girando per le città e le autostrade americane (in alcuni Stati), è semplicemente normale incrociare una Volt, una Leaf e molte Tesla. In una logica di sistema, 8 Stati si sono recentemente consorziati con l’obiettivo di sviluppare standard di legge e di incentivazione per la mobilità elettrica così da fornire ulteriore spinta al settore.
Nel vecchio continente assistiamo a soluzioni alternate. Citavamo prima la Norvegia, eldorado dell’auto elettrica con una capillare rete di colonnine e con una serie di incentivi economici e fiscali. È ironico pensare che la fonte di copertura di tutti questi investimenti nell’elettrico derivino dalla forte politica di estrazione petrolifera, che rappresenta la principale economia del Paese.
Altri paesi del Nord Europa (Olanda, Danimarca e UK) stanno spingendo con strategie simili: investire in infrastrutture di ricarica, incentivare la domanda e attrarre investimenti privati e pubblici realizzando sperimentazioni diffuse.
La Germania ha fatto sistema tra pubblico e privato, garantendo 12 miliardi di € di investimenti industriali nei prossimi 8 anni per raggiungere il milione di auto elettriche con l’idea di creare un vero mercato per le flotte e i privati.
Scendendo in Italia troviamo una situazione paradossale. Le nostre città sono il terreno ideale per la mobilità elettrica: non sono troppo estese, molto densamente popolate e in diversi casi poco distanti tra di loro. Eppure, complice la profonda crisi economica non è stato possibile attivare un volano economico per dare il via al mercato. Causa anche la totale assenza di un’industria interessata a questo mercato. La Fiat ha sempre palesato la sua preferenza per le auto a metano e gpl e ha condizionato le politiche economiche e fiscali sempre comprendendo anche queste tecnologie. Probabilmente è giusto da un punto di vista industriale (le auto a metano sono una realtà e la Fiat ha una vasta scelta), ma profondamente sbagliato in una logica di visione perché il nostro paese è oggi molto poco interessante per tutte le aziende di successo che investono altrove e spesso non commercializzano nemmeno i prodotti in Italia.
Così con una limitata offerta di prodotti e pochi investimenti il mercato non cresce e si diffonde un sentiment negativo sulle reali potenzialità. Un circolo vizioso che poteva essere interrotto ad esempio con gli incentivi governativi per le auto elettriche (pardon … per tutte le auto a basse emissioni, metano e gpl incluse) lanciati nel 2013. Ma le restrizioni imposte nei Decreto (la rottamazione di auto con oltre 10 anni) hanno di fatto escluso le imprese dal poterli utilizzare.
Di contro i prossimi 2 anni potranno rappresentare una svolta, in primis perché il Ministero delle Infrastrutture finanzierà una serie di progetti regionali per diffondere la rete di ricarica per auto elettriche e in secondo luogo le imprese stanno maturando sempre più la consapevolezza dei risparmi sui costi complessivi di utilizzo dell’auto elettrica e iniziano a valutare la conversione di parti delle loro flotte in elettrico.
Infine le agevolazioni che le amministrazioni concedono alle auto elettriche (è di qualche giorno fa il nuovo contrassegno del Comune di Milano che consente alle auto elettriche di parcheggiare gratuitamente nelle righe blu e gialle), rappresenteranno l’ultima spinta per completare i vantaggi reali di questa nuova tecnologia.
5. LE INFRASTRUTTURE DI RICARICA: UN MERCATO GLOBALE
Non ci sarebbe stata motorizzazione di massa senza le reti distributive petrolifere. Per l’auto elettrica è tutto da rifare perché l’infrastruttura di ricarica non ha ovviamente nulla a che vedere con quanto esistente. Questo è uno dei principali problemi perché in assenza delle “colonnine” nessuno acquista auto elettriche con l’incubo di restare a piedi.
Negli anni il tema infrastrutture ha visto diversi business model, alcuni di successo altri no. Il sistema più semplice è quello di molte aziende che assemblano e commercializzano colonnine. Fino ad oggi non è stato un business vincente perché la domanda è talmente bassa che non era in grado di sostenere un’impresa (da lì il fallimento di alcuni brand in America). Chi ha installato punti di ricarica ha prevalentemente utilizzato finanziamenti pubblici o in alcuni casi aziendali.
È il caso americano, dove troviamo tra le più importanti aziende del settore (Charge Point, Aerovironment, Car Charging per citarne alcune). In Europa si sono visti alcuni Paesi all’avanguardia che hanno previsto massicci investimenti proprio in infrastrutture (Estonia, Olanda, Danimarca, UK).
Le infrastrutture di ricarica sono tuttora percepite come di competenza pubblica. Anche se secondo le più recenti previsioni saranno le aziende i veri early adopters nonché players di rilievo per sostenere le auto elettriche, in particolare le flotte. Se oggi ci sono 64.000 colonnine installate nel mondo, nel 2020 saranno 10 milioni (di cui 200.000 saranno fast charge).
Alcune multinazionali hanno quindi applicato una strategia di gratuità della colonnina puntando su grandi numeri globali che consentissero margini rilevanti sulla vendita di energia. SuccessCharging, brand israeliano in pochi anni aveva creato una struttura commerciale molto vasta in diversi continenti, salvo poi non dismettere tutto dopo 2 anni di insuccessi. Strategia diversa è quella delle utilities, che nella maggioranza dei casi hanno creato una linea di business dedicata mobilità elettrica. Con colonnine prevalentemente di tipo lento, si rivolgono al mercato consumer anche privato con sistemi di wallbox da installare nei garage o in posti auto al coperto. Il caso della tedesca RWE, come a casa nostra di ENEL. Alcuni esempi di successo sono riscontrati sulle reti autostradali: in Gran Bretagna Ecotricity (utilities) ha concentrato le strategie sulle infrastrutture nelle reti autostradali, così da consentire lunghe percorrenze e garantendosi un asset competitivo nel lungo termine.
Strategia analoga per la canadese SunCountyHighway che ha investito e in parte venduto infrastrutture di ricarica creando veri e propri corridoi “a zero emissioni”, in Canada e in America. In questo caso il modello di business vede le infrastrutture installate presso luoghi di interesse (ad esempio presso i centri commerciali) che offrono un servizio in più ai clienti cercando di attrarre nuova clientela con un posizionamento green a livello aziendale.
Due casi globali sono dirompenti e concreti. Tesla Motors e Nissan hanno in comune la scelta di aver voluto investire massicciamente nelle infrastrutture. L’azienda californiana ha costruito decine di stazioni di ricarica fast dove in 30 minuti si carica tutta l’energia necessaria alla propria Tesla. Il servizio è gratuito per i clienti che quindi possono guidare per lunghe percorrenze senza alcuna spesa. In America sono già coperte le principali città (east e west coast), mentre i primi “supercharger” europei sono già installati in Norvegia.
Nissan ha optato per una partnership con la francese DBT e ha investito il necessario per arrivare a 300 punti di ricarica fast charge in tutta Europa, su tecnologia Chademo (che è quello nipponico, mentre l’Europa ha da poco scelto come standard il sistema Combo).
Le colonnine possono essere installate in luoghi pubblici e disponibili h24 per i clienti possessori di Leaf. Anche in Italia troviamo alcune installazioni come presso l’Autogrill di Villoresi (Lainate - Milano).
Al di là dell’infrastruttura il nodo futuro che renderà davvero appetibile l’auto elettrica sarà anche il sistema di pagamento. Se oggi una colonnina pubblica richiede una tessera rfid e un contratto con il gestore provider di energia elettrica, il futuro prevede piattaforme tecnologiche che raccolgono i dati e forniscono poi un servizio di roaming.
Proprio come i telefonini, non importa che gestore energetico avremo, la tecnologia (via smartphone, apps) consentirà di utilizzare qualunque colonnina in tutto il mondo, pagando con carta di credito o all’interno della propria bolletta.
È una vera rivoluzione tecnologica, ma i principali produttori di colonnine e servizi si stanno integrando, dialogando e cooperando per arrivare a degli standard, sia in Europa che in America. È chiaro che anche le infrastrutture di ricarica rappresentano un business globale che vedrà molte aziende crescere per poi integrarsi e arrivare poi a pochi attori. Ma per allora la mobilità elettrica sarà una realtà per tutti.
Le parole e i fatti
Il 28 e 29 ottobre saranno due giornate intense, ricche di contenuti, d’incontri e di persone. Scambi di esperienze e punti di vista, nuove proposte e soluzioni: fare cultura sulla Mobilità Nuova e sull’essenzialità del suo ruolo all’interno delle città è l’obiettivo che ci siamo posti, insieme a quanti ci stanno sostenendo in questo percorso.
Nel mondo dei trasporti non esiste purtroppo la bacchetta magica, in grado di risolvere in pochi istanti problematiche complesse che ci accompagnano da anni in ogni attimo del nostro vivere. Perciò, in quest’ultima newsletter non vogliamo annunciare successi o lanciare proclami vittoriosi. Ci occupiamo di Mobilità e delle sue implicazioni con l’onestà intellettuale di chi crede che il confronto sia alla base di ogni crescita costruttiva: affrontiamo il tema da più angolazioni, per dare conto della sua complessità e proporre risposte che, per loro natura, dovranno essere molteplici.
Non ci piace comunicare, come molti fanno, annunciando il successo degli eventi prima ancora che si svolgano e autodefinendoli il punto di riferimento del settore, perché oggi le parole si sprecano e il loro valore si misura solo con i fatti e con la serietà delle persone che le pronunciano. Nel nostro settore, e a Citytech, si danno appuntamento professionalità molto qualificate, che oltre al loro nome ci mettono la faccia, la passione e la dedizione. Non abbiamo bisogno di annunciare altro. V’invitiamo quindi a venire ad ascoltare gli esperti che parteciperanno a Citytech, e a giudicarci dai numeri.
A questo link potete leggere la rassegna stampa e qui trovate la brochure in italiano da scaricare. La Fanpage e l’evento Facebook, come il profilo Twitter, sono attivi, aggiornati e molto seguiti. Internet ci mostra in tempo reale tutto ciò che si afferma, ecco quindi i dati di accesso a Citytech.eu: 22.453 pagine visualizzate, 7.374 visite di cui 4.917 visitatori unici, con circa 450 visite al giorno (dati aggiornati al 21 ottobre). I nostri visitatori non sono navigatori per caso, perché restano sul sito oltre 3 minuti e 30 a testa, con una frequenza di rimbalzo del 51%: un record di questi tempi, segno che le parole trovano un riscontro in contenuti seri.
Ringraziamo fin d’ora quanti ci stanno credendo: le Istituzioni che dimostrano di sapersi mettere in gioco per sviluppare un confronto costruttivo, le aziende che in un momento così difficile per il nostro paese sono ancora in grado di competere a livello internazionale, i media partner che condividono con noi l’obiettivo di fare cultura su questi temi, i cittadini che con le loro scelte quotidiane mettono in pratica il cambiamento di cui il paese ha bisogno.
Vi aspettiamo il 28 e il 29 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano. L’evento è aperto al pubblico e gratuito, per iscriversi è necessario compilare il form online.
Grazie a Tutti! Da Barbara, Carlo, Paolo, Federico, Carolina, Amelia, Aurora e Claudia
Bikenomics: la chiave per ripensare le città
Negli ultimi anni il dibattito attorno alla bicicletta si è spostato dal mondo dello sport e del tempo libero ed è diventato un tema politico. Il motivo è che sempre più persone nei paesi occidentali sono stanche del traffico e dell’inquinamento e che i millennials (i nati tra gli anni ’80 e i primi anni 2000) stanno dimostrando un crescente disinteresse nei confronti dell’automobile.
Allo stesso tempo, le persone stanno riscoprendo l’uso della bicicletta che sta diventando parte di un nuovo stile di vita in molte città del mondo occidentale. Dall’altra parte, questi pionieri a due ruote stanno fronteggiando una grande sfida: sono costretti a muoversi in città che, dal dopoguerra in poi, sono state progettate unicamente per ospitare le auto e, di conseguenza, devono confrontarsi con la resistenza di amministratori locali che, in molti casi, non voglio modificare lo stato attuale delle cose.
I politici che sono stati chiamati ad amministrare le nostre città, pensano (o per lo meno dovrebbero pensare) esclusivamente in termini di rapporti tra costi e benefici ed è per questo motivo che la grande domanda che sono soliti sollevare è sempre la stessa: “perché dovremmo ripensare le nostre città in funzione dei ciclisti se non esistono prove evidenti che una città in cui ci si muove in bici è meglio di una città in cui ci si muove in automobile?”
Questa è una buona domanda e se l’unica risposta che abbiamo a disposizione è un’entusiasta “perché le città piene di ciclisti sono più belle!”, non si può sperare di cambiare alcunché, perché la bellezza, come sappiamo, risiede esclusivamente negli occhi di chi guarda. Quello di cui abbiamo bisogno sono dati oggettivi e prove provate: in altre parole dobbiamo dimostrare in modo perentorio e inconfutabile che la bicicletta è un bene per le città. Ora: cosa è considerato “bene” in qualunque parte del mondo?
Facile: i soldi
E pedalare significa soldi sotto molti punti di vista: chi decide di usare la bici invece dell’auto ha a disposizione una quantità di soldi extra che può utilizzare per comprare beni e servizi o da spendere in bar e ristoranti del proprio circondario. Ma chi decide di compiere questa scelta sarà anche maggiormente in salute e quindi avrà un minore impatto sul sistema sanitario nazionale (che nella sola Europa è stimato attorno ai 110 miliardi di euro l’anno), contribuirà a ridurre il traffico e l’inquinamento (e questi sono altri 25 miliardi di euro l’anno), aiuterà lo sviluppo del commercio locale (i negozi situati in prossimità di reti ciclabili hanno registrato aumenti nelle vendite pari al 49%), e favorirà la riduzione della spesa per la manutenzione delle strade, oltre ad aumentare la propria produttività sul lavoro.
La buona notizia è che tutti questi dati non sono più frutto di mere intuizioni: negli ultimi anni, scienziati e studiosi di blasonate università e di riconosciute organizzazioni internazionali hanno puntato l’attenzione proprio sul ritorno di investimento della ciclabilità e hanno dato vita a una nuova disciplina che rischia di diventare la chiave di volta per ripensare le nostre città.
Questa disciplina si chiama bikenomics (una crasi tra le parole bike e economics)
Se volete saperne di più sulla bikenomics, potete iniziare a girare per biblioteche o a frugare sul web alla ricerca di studi e ricerche. Oppure potete partecipare al workshop che si terrà il 28 ottobre alla Fabbrica del Vapore a Milano dove, in occasione di CityTech, rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della European Cyclists’ Federation, del Politecnico di Milano e altri ancora presenteranno i risultati dei propri studi. Qui potrete scoprire l’esistenza di uno strumento per la valutazione dell’impatto economico sulla salute derivante dall’andare a piedi o in bicicletta, che i benefici economici generati dalla bicicletta sono di oltre 200 miliardi l’anno (più del Pil della Danimarca), che incentivare l’uso della bicicletta significa contribuire alla creazione di green jobs e che il rapporto tra costi e benefici di un investimento in ciclabilità può arrivare a 1:70.
L’obiettivo è dimostrare che destinare fondi per la promozione della ciclabilità non è un costo, ma un investimento: probabilmente il più saggio e sicuro investimento che un amministratore locale possa mai fare.
California: una legge regola i servizi di mobilità per la “sharing economy”
Si sa che quando il mercato e i bisogni cambiano, le leggi faticano a mantenere il passo dei tempi. Certamente è il caso delle grandi innovazioni sulla “sharing economy“, movimento culturale, economico nonchè concentrato di innovazione in molteplici aree di business. |
Il governo della California, nello specifico il California Public Utilities Commission (La Commissione Servizi pubblici) ha da poco varato un regolamento (scarica il doc. ufficiale) per normare le molte imprese che sono attive nei servizi di ridesharing.
Lyft, Sidecar e Uber sono solo alcuni dei nomi più noti, quest’ultimo recentemente entrato in Italia ha portato non pochi grattacapi alle Amministrazioni pubbliche, abituate ai regolamenti taxi e NCC consolidati da molti anni. Ma l’innovazione va avanti e in tanti ci credono, non è un caso che Google abbia da poco investito nella start up californiana con oltre 258milioni di Dollari.
Il CPUC ha creato una nuova categoria di azienda di trasporto definita Transportation Network Company, aziende che usano “app” o piattaforme tecnologiche per mettere in contatto guidatori e passeggeri, utilizzando i veicoli privati. |
Questi nuovi operatori della mobilità devono ottenere apposita licenza e rispettare una serie di requisiti restrittivi e dedicati alla sicurezza dei passeggeri trasportati, essere in regola con la legge, seguire una formazione dedicata ai guidatori, osservare tolleranza zero sull’uso di alcolici e droghe, ottenere un’assicurazione con garanzia minima di 1 milione di dollari. |
Infine rispettare 19 punti di controllo sui veicoli utilizzati. Una vera rivoluzione per la mobilità in città. Si tratta di servizi di trasporto che potrebbero permettere la dismissione di molte vetture inutilizzate e avere importanti risvolti sociali, offrendo nuove opportunità di lavoro per categorie di utenti, ad esempio giovani (e con la disoccupazione giovanile oltre al 40% ce ne sarebbe davvero bisogno.. in Italia). |
Occorre ora trovare qualche Amministrazione lungimirante, desiderosa di sperimentare e innovare, che abbia la forza e la capacità per partire. |
L’esempio di Milano dove il car sharing car2go ha spopolato in poche settimane con oltre 40.000 iscritti, fa ben sperare sul fatto che, per una volta, la cultura, la domanda di mobilità e la sensibilità dei cittadini siano già pronti per nuove regole. Se ne parlerà il prossimo 29 ottobre durante il workshop sulla smart mobility di Citytech, intanto la partita è aperta. |
La “radio” incontra l’Elettrico
Ci sono serate particolari, per l’atmosfera magica, per le persone e gli amici con cui condividere un paio d’ore di divertimento.
Cuffie d’oro è una manifestazione che celebra la “radio” come mezzo di comunicazione sempre moderno, ma soprattutto riconosce il grande valore, il talento e la professionalità di chi da molti anni ci lavora con passione. |
Quest’anno l’evento è stata l’occasione per parlare anche di green e di mobilità elettrica, grazie a Energica, la Superbike elettrica che ha accompagnato tutta la serata.
Sotto la splendida conduzione di Charlie Gnocchi, Alfonso Signorini e Alena Seredova, i big della radio sono passati per la passerella del Grand Hotel Savoia a ritirare il premio al miglior programma, conduttore, radio web o per tutte le numerose derivazioni del media che comunica nel modo più antico: con la parola. |
Energica, il suono del futuro, è stata una piacevole presenza per i partecipanti e i premiati, tra gli amanti delle moto come Marco Mazzoli dello Zoodi105 o per i più scettici puristi del motore a scoppio come Ringo.
Il ruggito del coniglio, con uno dei suoi conduttori, Antonello Dose, hanno ricevuto il premio Energica mentre gli ospiti si divertivano a immaginare i futuri viaggi in moto, silenziosi, magari ascoltando proprio la radio. |
Per una volta la tecnologia e l’innovazione si sono avvicinate al grande pubblico dei media, non per ragioni commerciali (Energica sarà sul mercato nel 2015 con target principali negli Stati Uniti e in Nord Europa) ma soprattutto per diffondere la cultura della mobilità elettrica e il valore del made in Italy (Crp l’azienda produttrice di Energica è una società emiliana, tutta italiana, eccellenza nazionale in un mercato globale).
L’entusiasmo della serata e l’interesse dei media sono un buon auspicio, segnali che anche se la strada per la mobilità elettrica sarà ancora lunga, probabilmente ne sentiremo parlare molto..alla radio. |
Car2Go a Milano
Boom di iscrizioni per Car2Go a Milano in soli 15 giorni!
Il car sharing one way di Daimler incontra le aspettative dei milanesi e raggiunge in soli 15 giorni i 2500 iscritti. E’ un record e soprattutto è una dimostrazione del fatto che in Italia siamo pronti per una mobilità innovativa e intelligente. |
Car2go è il car sharing privato del gruppo tedesco Daimler-Mercedes, che ha risposto all’avviso pubblico lanciato dal Comune con il quale si è sostanzialmente liberalizzato il mercato delle auto in affitto, portando un po’ di concorrenza in casa Atm, che, con i 135 veicoli GuidaMi e i suoi 5.400 abbonati, finora aveva avuto il monopolio del settore. |
Entro settembre car2go metterà in strada altre 296 smart per raggiungere i 450 veicoli in giro per la città. Come funziona car2go? Basta iscriversi on line (la tessera è gratis fino al 30 settembre, poi costerà 19 euro) e recarsi dopo la registrazione a ritirare la card in uno dei vari punti presenti in città: la concessionaria Smart di piazza XXIV Maggio, la sede di Legambiente e l’ufficio Clickutility on Earth in zona Colonne di San Lorenzo (Via Arena 1). |
Dopo aver ritirato la tessera, si può prelevare l’auto: a differenza dei veicoli dei classici sistemi di car sharing diffusi in Italia — che si trovano in punti ben precisi e lì devono essere riconsegnati — le Smart saranno sparse in tutta Milano. Per individuare la più vicina è sufficiente controllare la posizione dei veicoli tramite la APP gratuita sul cellulare e prenotarla o prenderla al volo se ci si trova proprio nei paraggi. La prenotazione blocca la vettura per mezz’ora, il tempo necessario a raggiungerla e la APP dà la posizione esatta del veicolo e la distanza che ci separa dalla macchina. |
Le auto si aprono usando la tessera: la chiave per la messa in moto è all’interno. Per riconsegnare il veicolo — in qualsiasi punto di Milano, anche diverso da quello da cui è stato prelevato — basta parcheggiarlo e ‘chiuderlo’ con la card: il sistema registra la fine del noleggio e addebita al cliente la cifra dovuta. Costo: 29 centesimi al minuto, compresi Iva, benzina (le Smart vengono rifornite dai team di Car2go: se si trova il veicolo a secco, il rifornimento è a carico dell’azienda), Area C e parcheggio su strisce blu e gialle. Il gruppo tedesco paga infatti a Palazzo Marino, ogni anno, un forfait per ciascun veicolo, per garantire ai clienti la sosta (ovunque) gratuita e la copertura del costo di area C. |
Il servizio ha ottenuto anche il riconoscimento “Innovazione amica dell’ambiente” assegnato l’anno scorso da Legambiente; i veicoli utilizzati sono infatti smart fortwo coupé ecologiche (98 g CO2/km) attive su un’area di oltre 120 chilometri quadrati, che comprende tutta la città e ne tocca tutti i principali punti di aggregazione. La rete di trasporto pubblico della città di Milano ed il progetto car2go si completano a vicenda perfettamente in quanto car2go è la soluzione di trasporto alternativa per i pendolari in grado di ridurre il traffico ed al tempo stesso l’inquinamento in città e consentirà a molti milanesi di sbarazzarsi della seconda auto. |